Poco più del 10% dei consumatori lo beve regolarmente, mentre circa il 30% lo consuma in maniera saltuaria.
Il caffè decaffeinato ha i suoi natali agli inizi del ‘900 del millennio passato. Esattamente nel 1905 quando un certo Ludwing Rselius lo sperimentò. A questi chicchi in sostanza viene rimossa la caffeina con procedimenti diversi. A livello internazionale si considera un caffè decaffeinato quando ne viene rimossa minimo il 97,5% di caffeina.
Per operare questa sottrazione, esistono tre metodi. Vi spieghiamo quali.
Il primo è quello con solvente chimico. Diclomerato o acetato di etile le due sostanza usate. Entrano in gioco dopo che il caffè è stato messo a gonfiarsi in acqua. Ottenuto questo, si aggiunge una delle due sostanze che catturano la caffeina presente nei chicchi. Nell’uso del diclomerato il vantaggio pare sia quello che riesca a far passare tutte le altre sostanze e eliminare solo la caffeina inalterando le rimanenti qualità organolettiche del chicco. Il secondo procedimento è quello più naturale, quello detto ad acqua.
La decaffeinizzazione avviene per l’immersione in acqua calda dei chicchi. Tolti dal baccello ed essiccati vengono praticamente cotti. Questo procedimento toglie però gran parte del gusto alla bevanda più bevuta al mondo per questo non è proprio la metodologia più utilizzata. Infine c’è un’altra soluzione per eliminare la caffeina.
Quella con l’estrazione a CO2. Questa funziona praticamente da solvente ed elimina la caffeina. E’ il procedimento naturale per eccellenza tra i tre.
Ma quello più usato risulta sempre quello con i solventi indicato in testa. E forse per questo che taluni hanno timore a consumarne,per l’uso di solventi. Ma studi confermano però che non c’è nulla di pericoloso a berne con frequenza.
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