Abbiamo già raccontato come dietro alla canzone dello Zecchino d’Oro, ci sia un richiamo storico legato ad un celebre locale milanese dell’Ottocento. Che ha contribuito a diffondere il piacere dell’italica bevanda.
Il caffè della Peppina, c’è da chiedersi come mai, allora, la “Peppina” da leggendaria figura simbolo del buon caffè, sia diventata nella canzoncina una matta pasticciona, che sperimenta improponibili ciofeche.
Un intruglio in cui getta di tutto, dal formaggino alle cipolle, dal petrolio al tacchino. La spiegazione la troviamo ancora una volta ripercorrendo i fili della Storia.
Prendere un caffè, piacevole intrattenimento dell’aristocrazia nel Settecento, utile momento di ritrovo dell’intellighenzia rivoluzionaria nell’Ottocento, diventa necessità del popolo durante il primo conflitto mondiale.
I soldati cominciano la giornata con il caffè per acquisire l’energia necessaria alla battaglia. Finita la guerra portano a casa questa buona abitudine.
Durante la seconda guerra mondiale, le ristrettezze economiche e la scarsità di prodotti rendono difficile continuare a godere di questa bevanda ormai entrata nelle vite degli italiani.
La si comincia a sostituire con una serie di surrogati, facendo essiccare i più vari alimenti, dai fagioli alla cicoria, dall’orzo alla segale, che nulla hanno a che fare con il nostro aromatico espresso…
Non meraviglia, perciò, che sia presto nata una filastrocca popolare che così recita: “Un, due, tre | la Peppina fa il caffè | fa il caffè di cioccolata | la Peppina è malata, | è malata dall’amor | la Peppina chiama il dottor, | il dottor senza ciabatte; | qui mi duole, qui mi batte | qui mi sento una gran pena, | e il dottor: fai senza cena.”
Infatti, il surrogato, a base di fibre vegetali, portava con sé anche delle spiacevoli conseguenze, fungendo da lassativo naturale.
Senza dubbio è da lì che prende spunto la canzone dello Zecchino. Al punto che: “Il caffè della Peppina/ Non si beve alla mattina/ Né col latte, né col tè/ Ma perché, perché, perché…”
Questa arguta rivisitazione dalla filastrocca alla canzoncina, la dobbiamo a Walter Valdi, artista cantautore e attore milanese, che lavorò al testo. Valdi, infatti, sapeva raccontare con ironia di una Milano popolare, fatta di cortili di ringhiera e di periferia.
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